Le montagne non sono cambiate, né la natura ha smesso di seguire il suo corso capriccioso e incomprensibile.
Oltre il bosco le valli si inserrano improvvisamente tra pareti ed orridi dirupi,
in inverno spazzati da slavine distruttive e in estate riarsi dalla calura.
Un passo dopo l’altro si può rivivere la fatica e la paura dell’ignoto, a cui umili fraticelli si sottoponevano,
provvisti solo del conforto della propria tenace volontà e della fede, per cercare in questi luoghi appartati,
quello spazio crudelmente “vuoto” che per altri grandi santi erano stati i deserti d’oriente.
Un luogo dove la solitudine diventa amica e l’anima, lontana dalle cose del mondo,
si acquieta, per fondersi allo stormire delle foglie,
al suono argentino dell’acqua, al canto di un uccello alle prime luci che diradano le tenebre della notte.
Qui l’anima si libra nell’aria per farsi preghiera.
Quella preghiera semplice e ingenua che mi sgorga dal cuore ogni qual volta tocco la cima di un monte
e sopra di me restano ancora solo le nuvole a drappeggiare un cielo che non ha confini.